Wednesday, January 25, 2012

Saito Nishizawa


"Maestro Nishizawa, per favore, mi dica come si sentiva la prima volta che andò a combattere sul suo aereo".
Chi parlava era un ragazzino smilzo, con un visetto sempre sorridente, anche troppo; tanto da apparire poco rispettoso, per un veterano della seconda guerra mondiale. Il maestro Nishizawa, come ormai veniva chiamato da tutti, aveva appena ventitrè anni, ma aveva già abbattuto e danneggiato tanti di quegli aerei nemici che forse neanche lui li ricordava tutti. Non che ricordare fosse facile: il Comando giapponese non vedeva di buon occhio le celebrazioni personali. Avrebbe preferito di gran lunga che la squadra, il gruppo, l'unione di tanti uomini con gran spirito di abnegazione e disciplina fossero valorizzati e riconosciuti. Tutto quell'apprezzamento, quel riconoscimento verso un uomo solo erano mortificanti nei confronti del grande Giappone. Eppure il carisma che Saito Nishizawa aveva accumulato respirando i fumi incendiati di quei Catalina, P40, Spitfire, P39, e Dio solo sapeva cos'altro, scatenava un irrefrenabile entusiasmo in tutti i suoi commilitoni. Inoltre la presenza di Saito Nishizawa in qualsiasi unità rappresentava una continua emorragia di uomini e mezzi per il nemico, e questo - dal punto di vista tattico - era un vantaggio irrinunciabile. Quindi gli ossequi smielati che commilitoni dislocati in tutti i campi di battaglia dove l'aviazione fosse presente gli tributavano venivano eccezionalmente tollerati. In certi casi anche sfruttati. Nishizawa era spesso presente ai corsi di addestramento dei giovani piloti kamikaze. Poco gli veniva insegnato sull'arte della caccia in volo, molto invece contava la motivazione e l'abnegazione. Saito stesso era poco convinto che la strategia di autodistruggersi per distruggere fosse vincente, ma quando quei giovani che non sarebbero mai invecchiati gli si facevano intorno, chiedendogli di autografare una sua foto al posto di pilotaggio del suo primo Mitsubishi A6M (meglio conosciuto come "Zero"), lui non si tirava indietro, e questo al Comando faceva molto comodo.
Si raccontavano tante storie, e di alcune era difficile capire quanto fossero vere e quanto frutto di immaginazione e miti. Si diceva che una volta, di ritorno da un servizio di pattugliamento aereo sul Mar dei Coralli, aveva ascoltato casualmente una richiesta di aiuto da un cargo, a circa 25 miglia di distanza, che era stato attaccato e danneggiato da quattro cobra dell'aria (i terribii P-39). A corto di carburante, Nishizawa aveva chiuso le comunicazioni con la torre e era giunto alla base con una buona ventina di minuti di ritardo. Quando gli chiesero cosa era successo, si limitò a dire che la radio aveva inspiegabilmente cessato di funzionare, per poi riaccendersi in fase di atterraggio. Gli uomini del cargo attaccato raccontarono che uno zero era apparso dal nulla mentre i P-39 si preparavano agli ultimi passaggi per l'affondamento. Sfruttando il sole alle spalle, calcolando le traiettorie dei nemici aveva allineato due velivoli americani e - contando sull'effetto sorpresa - con un'unica raffica puntata contro gli abitacoli aveva freddato i piloti di due degli aerei nemici; gli altri due, dopo aver visto i loro compagni cadere senza fiamme sul loro velivolo, senza cercare di paracadutarsi e probabilmente in completo silenzio radio, si diedero alla fuga, permettendo al Cargo di fare rotta verso un riparo.

Nishizawa guardò il ragazzino, chiuse il portello d'ispezione della mitraglia di sinistra del suo Zero, scese dalla scaletta e si sedette sull'ultimo gradino. Anche da seduto era più alto del ragazzo. Saito era incredibilmente alto per essere un giapponese dell'epoca; incredibilmente alto e tanto magro da sembrar malato.
"Quando avevo la tua età, i miei genitori mi mandavano in vacanza a Dafu-dao, sai dov'è?"
"No, maestro, dove si trova?"
"In Cina, nella zona di Quing-dao, sul mare. E' un villaggio piccolissimo, ma lì vicino c'è un convento che i miei conoscevano per aver incontrato a Nara un frate che nel suo girovagare era arrivato lì e che avevano ospitato per alcune notti; lui per riconoscenza gli aveva offerto ospitalità per loro figlio, per me, qualora avessi voluto visitare la Cina; da quella volta ogni due anni, in estate, mi mandavano in vacanza in quel convento".
"La Cina è lontanissima, maestro".
"Non tanto.. quella parte della Cina si trova a appena settecento miglia dal Giappone, col mio Zero potrei arrivarci in quattro o cinque ore. Ma hai ragione, il viaggio era molto lungo, di solito ci mettevo due o tre giorni, tra navi, treni e altri mezzi".
"E poi cosa faceva con i monaci?"
"Ogni volta che andavo lì imparavo un mestiere nuovo. Quello che mi piaceva di più era costruire o aggiustare le macchine che usavano nel convento, in particolare quelle che usavano per coltivare i campi, ma un anno mi misero a lavorare in cucina".
"Era bello?"
"Era diverso. Un'esperienza che non pensavo di dover fare, ma che mi fu utile per capire me stesso".
"Cucinando?"
"Qualcosa del genere. Una mattina, molto presto, era ancora buio fuori, il monaco amico dei miei genitori venne a svegliarmi, mi disse che stava partendo per Quing-dao per fare degli acquisti importanti e che voleva compagnia nel viaggio. Io ero ancora mezzo rintronato di sonno, ma presi due vestiti e lo seguii. Durante il viaggio mi disse che doveva procurarsi il tè per il convento, e stavamo andando al grande negozio del tè per questo; avrebbe dovuto portare il capo cuoco, ma quella mattina egli s'era sentito male e non aveva potuto alzarsi dal letto. Quindi aveva pensato a me."
"Bello!"
"Ma io ero molto preoccupato: il tè era una delle cose più costose che giravano in cucina, e scegliere il tè giusto e acquistarlo al prezzo giusto non era affatto semplice. Io ero stato in cucina per quasi due mesi e mi avevano spiegato molte cose, ma non ero certo di sentirmi pronto per una responsabilità del genere".
"E quindi come fece?"
"Quando arrivai al negozio, mi trovai in una specie di bilioteca: sulle pareti in fila c'erano tante scatole, con dentro delle buste, piene di tante varietà di tè che se ognuna fosse stata un passo, si sarebbe potuti arrivare da Tokyo a Chiba e tornare indietro, con tutti quei passi."
"Sono molto lontane Tokyio e Chiba?"
"Molto, si".
"E allora che cosa è successo?"
"Beh, io gli dissi che non ero sicuro di saper come fare."
"E lui?"
"Lui andò dritto verso una delle pareti e mise la mano dentro una delle buste, in una scatola in basso e tirò fuori un pizzico di tè; poi - come se avesse deciso quale altra qualità di tè prendere - andò alla parete opposta, e anche stavolta prese un pizzico di foglie. Poi mise i due piccoli mucchietti su un tavolo davanti a me e mi guardò. Poi mi chiese: 'puoi scegliere qualcosa di meglio?'. Non avevo ancora chiaro cosa intendesse lui per meglio, ma mi sedetti a quel tavolo a osservare le foglioline del primo mucchietto e poi quelle del secondo mucchietto, e nel momento in cui le osservai da vicino e riuscii a distinguerne l'aroma seppi la risposta.
"E qual era la risposta?"
"La risposta era 'si' ".
"Gli disse che avrebbe fatto la scelta?"
"Si, gli dissi che lo avrei fatto. E lui mi sorrise compiaciuto e mi disse: ''Vedi Saito? a volte ci perdiamo dietro domande che sembrano molto più grandi di quello che sono. Saper fare o non saper fare è molto importante. Ma in questo caso la vera domanda è: sono disposto a voler scegliere il tè per i miei amici monaci? L'acqua ci aiuta nel nuoto, e ci sostiene a galla, ma perchè l'acqua ci possa sostenere, noi dobbiamo prima accettare di entrarvi' ".
"E combattere con un aereo è come nuotare nell'acqua?"
"Si, è un po' come nuotare nell'acqua: non avrai neanche iniziato a capirlo, finchè non sentirai il desiderio di provarci".

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