Sunday, January 1, 2012


Diciassette mesi in Vietnam. Si può anche dire che il rischio di vita ci fosse. Almeno i meno addetti ai lavori ci cascherebbero. Ci sono stati un infarto e un riovero in ospedale per aritmia cardiaca durante il progetto. Ma si! Poi uno accende il cervello e ci pensa, che l'infarto viene per scarsità d'afflusso di sangue ai muscoli cardiaci e l'aritmia era probabilmente tensione repressa di una persona mediamente molto tranquilla all'apparenza, e quindi quasi certamente tendente a tenersi dentro la tensione di una "normale" situazione lavorativa.

Sta di fatto che il sentimento del reduce del Vietnam ce l'hanno un po' tutti. Dalla mia vecchia amica, la signora Trinciabue, che quasi in lacrime mi ha confidato al telefono che si sentiva abbandonata, come se avesse lavorato come una matta per un anno e mezzo, per poi non sentirsi neanche dire "grazie", ai compagni italiani di progetto, che si guardano intorno esterefatti, cercando di capire da dove sbucherà la fanfara che gli confermerà d'essere gli eroi della Compagnia.

Ma forse la parte più eroica di un atto eroico è proprio il "dopo": quando ti accorgi che, mentre tu rischiavi di prenderti una palla in fronte da un Vietcong, loro si affannavano per non perdere l'autobus, per evitare che gli passassero davanti nella fila all'ufficio postale o per redarguire il collega cialtrone. Son tutte cose che costituiscono la vera vita reale, mentre soldati al fronte stanno là (ma son pagati per questo) e chi se li fila, non sono parenti miei. E così, quando questi ragazzi che hanno perso la giovinezza e la spensieratezza tornano nei prati verdi della polite Washinghton, non trovano folle acclamanti, ma l'indifferenza più assoluta. Il vuoto accompagna anche i loro commilitoni che hanno perso una o due gambe o la sanità di mente e sperano, inutilmente, in cure e onori.

Vietnam: se avessi saputo prima che questa assoluta mancanza di riconoscenza mi sarebbe stata propinata come ingrediente principale del dopo, magari non sarei neanche partito. Chi è matto? Ma dai, smettila di piangerti addosso: forse il matto sei tu. Lo avevi previsto che saresti arrivato a pezzi in fondo. Anzi, ti sei anche organizzato meticolosamente, con l'obiettivo di arrivare "funzionale" in fondo. Del "dopo fondo" non ti sei preoccupato, anche perchè nulla avresti potuto farci.

E quindi ora ti trovi a correre in pineta, finalmente senza pensieri, ma forse anche senza lavoro, col niente dietro, col forse davanti, tutto da ricostruire, tutto da rimarginare, tutto da re-inventare. E l'ultimo atto di questa strana storia apre il sipario: il recupero dopo 17 mesi di Progettone, in cui il massimo della vacanza è stata una settimana breve. Un mese intero di ricostruzione mentale: 15 giorni in Cina, a trovare la figlia, senza piani turistici aggressivi, e poi due settimane nell'isoletta che ami: l'arco orientato a sud, nel Tirreno, venti minuti a piedi per passare da un baffo all'altro. Con l'unico obiettivo di rimescolarti l'anima, guardare dentro, scrivere, tradurre, studiare. Dimenticare il Vietnam: capire che c'è dell'altro, ricostruire la fiducia di poter e saper fare qualcos'altro.

Il viaggio inizia con una vocina dentro che ti dice che è finita, sei sul cargo che ti porta a casa. E alora ti dimentichi del tempo che passa, mentre senti il leggero tonfo dei passi nelle orecchie, e quando ti fermi è passata un'ora e dieci, e nei chilometri che hai corso hai lasciato anche un ginocchio, che adesso ti ricorda che hai anche già tentato di farti del male per svegliarti da questo strano sogno, che il mondo è ancora in grado di darti azione e reazione, che puoi e devi muoverti.. su una sedia a rotelle, spingendoti avanti con le mani, o semplicemente salendo su un aereo da Roma a Mosca e poi a Shanghai.. ma muoverti, guardare, pensare, riflettere e finalmente annoiarti. Per poi tornare all'autobus, all'ufficio postale, all'ufficio e credere che quella sia la vera vita..... mavvaffancina, mi son detto.. e io vado!

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